lunedì 21 gennaio 2008

La Clemenza di Tito

Dramma serio per Musica in due atti di Caterino Mazzolà da Pietro Metastasio
1^ Rappresentazione Praga, Nationaltheater, 6 Settembre 1791

Personaggi e interpreti della prima rappresentazione
Tito Vespasiano, Imperatore di Roma Tenore

Antonio Baglioni

Vitellia, figlia dell'imperatore Vitellio Soprano

Maria Marchetti Fantozzi

Servilia, sorella di Sesto, amante di Annio Soprano

Carolina Perini

Sesto, amico di Tito, amante di Vitellia Soprano

Domenico Bendini

Annio, amico di Sesto, amante di Servilia Soprano

? Antonini

Publio, prefetto del pretorio Basso

Gaetano Campi

Coro

TRAMA

ATTO PRIMO Nel suo palazzo dell'antica Roma imperiale, Vitellia, figlia dell'ex imperatore Vitellio, parla con Sesto, amante suo e amico di Tito e g1i rinfaccia tutto il suo sdegno: per amore di lei lui ha già ordito una congiura, mediante Lentulo e i suoi seguaci, onde rovesciare dal trono l'surpatore Tito Vespasiano, ma non si decide ancora a dare il via, nemmeno ora che s'apprende come il sovrano intenda sposare Berenice e assegnare a una straniera un trono spettante invece a lei, figlia di un imperatore. In effetti Sesto ha mille remore, perché ama Tito e lo stima come il principe migliore, sempre capace di dare e perdonare, ma Vitellia non ascolta ragioni, ed è particolarmente infuriata perché Tito l'ha quasi convinta ad amarlo ed ora la tradisce richiamando Berenice. Sesto scongiura ancora, ma la donna prima lo respinge e poi pretende che entro il tramonto Tito sia tolto di mezzo. Viene Annio, a chiamare l'amico Sesto presso l'imperatore, e a riferire come l'afflitta Berenice sia invece ripartita e l'imperatore sia riuscito a far tacere l'amore per ottemperare ai suoi doveri di romano: allora Vitellia fa sospendere l'ordine a Sesto, lo invita a smettere di sospettare, di dubitare sempre e se ne va. Annio chiede a Sesto la mano di Servilia, sua sorella, e da parte sua Sesto accetta di buon grado, tanta è l'amicizia fra i due. Nel Foro romano, con strada che sale al Campidoglio e archi, obelischi, trofei, un coro di senatori romani e legati provinciali prega gli dèi di conservare sempre a Roma la persona di Tito, giusto e forte; intanto l'imperatore scende preceduto dai littori. A Tito il prefetto del pretorio Publio porge gli elogi del Senato, Annio comunica che il Senato ha deciso di innalzargli un tempio, Publio mostra i tesori dei tributi provinciali. Ma Tito vuole soprattutto l'amore del suo popolo e destina i tributi appena giunti a risarcire i sudditi colpiti dalla recente eruzione del Vesuvio. Poi fa tacere le lodi, allontana tutti e trattiene Sesto e Annio. Agli amici l'imperatore ricorda la sofferenza patita nel congedo di Berenice e siccome Roma vuole sul trono una romana propone di sposare Servilia. Sesto si confonde e prende la parola Annio, che amando Servìlia ne ha grandissima stima e dimostra di saper appoggiare la proposta. Annio va a dare la notizia a Servilia, e Tito si esalta all'idea del beneficio come unica soddisfazione del regno. Usciti Tito e Sesto, Annio non è pentito della rinuncia all'amata, e a Servilia che giunge annuncia imbarazzato la novità. Servilia stupisce, Annio è commosso, i due si uniscono nella tenerezza del loro sentimento. In un delizioso luogo appartato della reggia sul Palatino, Publio consegna a Tito l'elenco di coloro che hanno recato oltraggio agli imperatori morti e a lui stesso, ma lui cerca ogni espediente per perdonare. D'improvviso compare Servilia, che si prostra ai piedi di Tito chiedendo di riferigli un segreto, e Tito allontana Publio. All'imperatore la fanciulla riferisce che si sente onorata della scelta, ma che da tempo ama Annio e non dispone più del suo cuore. Allora l'imperatore gioisce, se per amore c'è ancora chi rifiuta il trono e per amicizia chi rifiuta l'amore, assicura che con tali sudditi il regno non sarebbe un tormento ma una felicità. Uscito l'imperatore, Servilia è raggiunta da Vitellia, che non senza ironia vuole rendere omaggio alla futura imperatrice, e all'amica dice di non dìsperare affatto. Sola, Vitellia è sdegnatissima, e a Sesto che sopraggiunge chiede se la congiura sia già stata avviata. No, risponde lui che non sa perché dovrebbe farlo, ma lei replica adducendo per lui molte ragioni quali l'ambizione e l'amore. Sesto è talmente impressionato da queste parole che decide di partire immediatamente e di fatto parte purché almeno la donna lo guardi con amore. A Vitellia prima Publio e poi Annio annunciano che Tito la sta cercando perché l'ha sce1ta come sua sposa e la donna angustiata non può che cercare di richiamare Sesto, comunque vanamente. Davanti al Campidoglio, Sesto s'avanza pronto ad agire ma sempre in preda agli scrupoli, giacchè Tito gli ha sempre fatto del bene, e quando decide di interrompere l'azione vede il Campidoglio in fiamme per cui non può che pregare gli dèi che salvino l'imperatore. Gli si avvicina Annio ma lui lo evita e sale al Campidoglio. Annio è raggiunto poi da Servilia e Publio allarmati dal tumulto e dall'incendio colposo, e infine da Vitellia, che cerca disperatamente Sesto. Sesto, eccolo ridiscendere dal colle e annunciare che Tito è stato ucciso senza fare il nome dell'assassino per solo intervento tempestivo di Vitellia. Cordoglio generale

ATTO SECONDO Nel delizioso luogo appartato di prima, Annio informa Sesto che Tito è illeso, e che altri cadde trafitto davanti agli occhi suoi, ma Sesto non può correre presso il sovrano, perché l'orditore della congiura è lui, e per questo ha deciso di andarsene lontano a piangere il suo delitto. Annio cerca di impedirlo, dicendo che ad un errore si può rimediare con maggiori prove contrarie, e si ritira. Ma ecco Vitellia; sempre in agitazione e ora spaventata all'idea che Sesto la tradisca e poco dopo Publio, che chiede a Sesto la consegna della spada in quanto Lentulo non è morto e anzi ha svelato la trama. Sesto si prepara a partire sapendo di dover morire, Vitellia ha paura e comincia a provare il peso del rimorso. Publio insiste a reclamare il colpevole. Nella gran sala delle udienze pubbliche, con trono, sedia e tavolino, il coro festeggia il principe che si è salvato e Tito si compiace dell'amore dei sudditi. Publio ricorda all'imperatore che stanno per iniziare i giochi ai quali lui è amorosamente atteso, ma lui aspetta ancora; essendo in pensiero per Sesto che Lentulo ha denunciato e il Senato sta giudicando. Publio cerca di dissuaderlo dal credere che Sesto possa ancora essere innocente e parte. A Tito si presenta Annio, che chiede pietà per l'amico comune, ma subito dopo ritorna Publio che tiene in mano il decreto del Senato: Sesto ha confessato e sarà gettato in pasto alle fiere; al provvedimento manca solo la firma dell'imperatore. Publio chiama Tito ai giochi, Annio lo scongiura di perdonare al traditore, ma il principe vuole restare solo. Usciti i due, Tito versa in grande ambascia, non può obbiettare nulla alla verità e s'appresta a firmare, ma poi chiama una guardia cui ordina di portargli subito Sesto nella speranza di una discolpa. Poi pensa all'infelicità dei regnanti, che non hanno la pace dei poveri pastorelli spensierati, e sollecita Publio che sopraggiunge a far venire il colpevole. Eccolo, dice Publio, e in effetti Sesto compare atterrito, fra i littori. Vede in Tito un'espressione nuova, mentre Tito vede in lui una persona diversa. L'imperatore allontana tutti e rimane solo con l'ex amico: a lui rinfaccia meravigliato tutti i benefici ricevuti, e lui s'inginocchia e chiede solo di andare a morte. Tito lo rialza, gli chiede la ragione della congiura, sperando di approfittarne per perdonarlo, ma il giovane, che non può tradire l'amata Vitellia, si accusa fieramente e tace. Spazientito, l'imperatore chiama le guardie e comanda di allontanare il reo, che però riesce a scongiurarlo di ricordare almeno l'antica amicizia. Di nuovo solo, Tito è quasi fuori di sé e sembra cercare vendetta, ma poi si pente e decide di perdonare, poi cambia di nuovo idea e infine firma il decreto. Dunque i posteri diranno che la clemenza di Tito era effimera? No, Tito lacera il foglio e chiama Publio, l'imperatore andrà all'arena, dove sarà anche Sesto, ma prima di partire chiede agli dèi di lasciargli il trono solo a patto di lasciargli la sua antica clemenza. Uscito lui, dalla parte opposta compare Vitellia, che da Publio apprende come Sesto abbia lungamente parlato con Tito e ora sia condotto all'arena. Vitellia è così certa che Sesto l'abbia denunciata all'imperatore come mente della congiura, ma d'un tratto si vede davanti Servilia e Annio che scongiurano di chiedere pietà a Tito per Sesto lei che prima del tramonto sarà proclamata imperatrice. Donde capisce che Sesto non l'ha tradita, e dopo un'ultima preghiera di Servilia, rimane sola ed esamina la sua coscienza: non può lasciare che Sesto muoia per colpa sua, e anzi andrà dall'imperatore a denunciarsi personalmente, a rinunciare al trono e quindi a morire. In un luogo magnifico che dà nell'anfiteatro (all'interno si vedono i congiurati pronti alla morte), un coro inneggia ad Augusto proprio mentre Tito entra da una parte, e dall'altra Annio e Servilia. L'imperatore domanda di portare il colpevole, con una severità che colpisce Annio e Servilia, e quando Sesto gli viene condotto innanzi gli rinfaccia i suoi torti e s'appresta a sentenziare, ma d'improvviso compare Vitellia che gli si prostra ai piedi e si denuncia completamente. L'imperatore resta allibito, di fronte a tanta perfidia di tanti sedicenti amici, eppure non cede all'invadenza del male e decide di perdonare tutti. Sesto e Vitellia piangeranno per sempre, Tito si consacra tutto a Roma, tutti esultano.

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